mercoledì 23 febbraio 2011

L'OMBRELLO

Come molti altri, anche mio padre, di ritorno dalla guerra, aveva portato qualcosa con sé.
Un ombrello.
Come molti altri, aveva perso qualcosa: non parlava più.
Le giornate estive le passava seduto in veranda, con il nostro vecchio soriano, puntando verso il nulla quello stesso sguardo che entrambi, durante le lunghe serate invernali avrebbero fissato sulla calda fiamma del camino.
Ma.
Ad un solo accenno di conflitto, gioco da bambini o costruzione d’adulti, personalmente vissuto o riferito lontanamente, mio padre apriva l’ombrello, rannicchiandovisi dietro ed estraendo la testa lentamente, col ritmo di una marcia militare.
Per noi bambini, il tutto assumeva i toni di uno spettacolo circense. Non era difficile rivedere in quei ritmi cadenzati e in quelle espressioni grottesche, i movimenti dei mimi che animavano le serate del piccolo circo che, ogni Natale, dava vita ad una cittadina altrimenti troppo silenziosa.
Non passò molto tempo perché tutti iniziassero ad essere stanchi di quel rito tanto singolare; tutti eccetto me e mia sorella Marta.
Marta era la più piccola. Il suo animo gentile e sensibile, che non poteva permettersi la visione di un padre umiliato e umiliante, la spingeva a correre verso di lui per chiuderne l’ombrello, tranquillizzarlo e rimetterlo seduto.
Io rimanevo sempre in disparte a guardarli, pervaso da un confuso sentimento di rabbia e malinconia che mi è divenuto chiaro solo dopo gli avvenimenti di ieri sera.
A distanza di quasi trent’anni, temevamo ancora che gli equilibri posti dall’ultima pace rappresentassero una lunga tregua riorganizzativa piuttosto che la risoluzione dei conflitti; solo ieri ne abbiamo avuto la certezza, quando sulla soglia di casa è apparso Mario, fidanzato e promesso sposo di mia sorella, con indosso la sua divisa da soldato. Vedendolo arrivare, mio padre, cupo in volto, ha preso il suo ombrello e, le braccia solennemente dritte davanti a sé, lo ha condotto cerimoniosamente difronte a Mario : “Prendilo. Ti servirà”.